Ada Costa è un'artista di ricerca che ha iniziato la sua avventura visiva negli anni '70 attraverso un personale linguaggio informale, il cui alfabeto visivo è inizialmente costituito da segni puri, linee orizzontali, verticali, diagonali; segni che, successivamente, si sono evoluti in moduli, spesso disposti a spirale.
Dallo spazio bidimensionaie, Ada Costa sviluppa pian piano una più complessa ricerca spaziale tridimensionale (con vaghe affinità con le neoavanguardie spazialismo, opticalart, arte minimale e concettuale) trovando, negli anni '80, nel "cerchio" il suo segno forte perché "nel cuore di una sfera si può delineare un orizzonte, un cielo, una terra" ma al di là del limite "si può sviluppare tutta una specie di estensione in profondità, un po' come un filo di carbonio in una miniera" (P. Restany).
L'elemento sferico diviene base per colonne e semicolonne d'ispirazione dorica a baricentro centrato o avanzato, con cui interagiscono - per un gioco d'equivoci visivi - specchi allocati sul pavimento, che ne riflettono le sitouettes creando ambigui giochi di rifrazione, trafitti o solo sfiorati da rossi e sottili raggi laser che ne esaltano la suggestione.
Sono sculture intese come luoghi e situazioni e non come forma, tanto che gli elementi che le costituiscono sono addirittura ricomponibili.
E da questo momento, quindi, che Ada Costa aggiunge l'elemento luce allo spazio dell'opera ed individua come materiale ideale per le sue imponenti ma leggere istallazioni, il VETRO, ripetuto in forme geometriche primarie, in particolare con l'iterazione del quadrato o del cubo.
Quindi, lo specchio ed il vetro, l'infinito e la riflessione: quasi per ritrovare se stessi, ma contemporaneamente perdersi nell'infinito e nell'inconsistenza del proprio essere. Infatti, il vetro è duro e insieme frangibile ed allo stesso tempo riflette la luce, ovvero la trasparenza inganna la percezione dello spessore e della sua consistenza.
Nelle opere di Ada Costa si può perciò leggere l'autocoscienza e la ricognizione dei nostri confini: l'artista trasferisce il suo ed il nostro spazio mentale nella geometria e matematica dei volumi delle sue piramidi trasparenti, nei rapporti strutturali degli elementi, nell'ambiguità e profondità infinita dello specchio.
Qui dunque lo spettatore può ritrovare la propria immagine e se stesso.
Queste opere quindi vengono a fare da trai d'union tra spazio fisico, natura e "corporeità spirituale dell'universo", con una sensibilità vicina alla spiritualità orientale.